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Lezioni di Employability/16 – Quello che gli studenti chiedono alla Università: una finestra sulla realtà

Lezioni di Employability/16 – Quello che gli studenti chiedono alla Università: una finestra sulla realtà

Una finestra sul mondo reale. Questo è quello che noi studenti chiediamo all’Università e ai nostri professori. Perché non poter vedere quello che studiamo sui libri? Possibile che uno studente di Economia possa laurearsi senza aver mai visto una azienda nel pieno della vitalità del suo processo produttivo?

Occasioni di questo tipo sono ancora poche, anche in Università ben strutturate come la mia. Ed è un vero peccato perché poi anche solo una visita aziendale può aprirci un mondo muovo, darci forza e stimolarci negli studi e forse anche aiutarci a capire veramente quello che vogliamo fare dopo l’Università.

 

È questo quello mi porto dentro dopo la visita con alcuni dei miei colleghi del corso di diritto del lavoro presso il nuovo stabilimento di produzione di Esselunga a Parma. Il nostro ingresso in azienda è avvenuto in mattinata. Abbiamo visionato gli uffici e fatto conoscenza con il personale, molto attento e disponibile nei nostri confronti. Dopo un iniziale welcome coffe si è svolta la vera e propria visita agli impianti dello stabilimento.

 

Il Direttore della funzione produzione ci ha illustrato in modo meticoloso ogni fase del processo produttivo che vedevamo svolgersi davanti i nostri occhi. Siamo rimasti tutti stupiti dal vedere una produzione così efficacemente organizzata e tecnologicamente avanzata.

È stata una vera e propria emozione poter vedere con i nostri occhi i processi produttivi tanto studiati in discipline che fanno parte del nostro corso di laurea. Quando uno studente si trova a studiare sui libri è forse, spesso, troppo orientato a recepire solamente le nozioni e i contenuti propri del testo, senza soffermarsi e chiedersi magari “come avviene nella realtà questo processo produttivo?” o “in che modo, i più semplici prodotti, come il pane, che troviamo quotidianamente in tavola, arrivano fin qui?”. L’opportunità della visita allo stabilimento di Parma ci ha dato molte di queste risposte.

 

Dopo la visita ai reparti produttivi, abbiamo avuto un incontro con i dipendenti degli uffici direttivi; qui sono stati discussi approfonditamente le prerogative della gestione aziendale. Abbiamo ascoltato il personale direttivo, che ci ha delineato come avviene la gestione dell’impresa, quali sono le funzioni aziendali e le principali problematiche che sussistono nei processi aziendali.

È stato molto utile e formativo poter discutere con persone altamente qualificate dal punto di vista professionale. Ho trovato oltremodo sorprendente poter calarmi in una situazione che riguardava tematiche strettamente connesse ai nostri studi economici. Sentir parlare direttamente di “gestione strategica”, “funzioni aziendali” e in particolar modo dell’approfondimento legato ai sistemi di gestione del personale, hanno concretizzato tante lezioni svolte in classe.

 

Il contatto anche solo con una realtà aziendale ha permesso, a noi studenti, di misurarci con il nostro futuro e cioè quei luoghi di lavoro dove dovremo applicare le tante nozioni imparate sui banchi dell’università.

Nel corso della giornata si è creato un clima molto costruttivo tra noi studenti e il personale della azienda: nella sala riunioni degli uffici sembrava quasi di essere in qualche modo tutti “colleghi di lavoro” e di parlare di aspetti aziendali, compresi da ciascuno di noi.

È stata una valida occasione per vedere applicate le politiche di gestione del personale, in particolar modo quando sono stati affrontati i temi dell’organizzazione del lavoro.

 

In questo semestre abbiamo affrontato in classe, durante il corso di Diritto del lavoro, tanti aspetti che il professore cercava di contestualizzare nella realtà tramite esempi di qualcosa che però ancora non conoscevamo. Questi casi di studio li abbiamo poi sentiti raccontare direttamente dal Direttore del personale, ed è stato molto soddisfacente per noi ragazzi poter vedere, capire e constatare tutto ciò che abbiamo appreso in materia. È stata così, nel complesso, una vera integrazione tra teoria e pratica che ci ha consentito di allargare l’orizzonte e il nostro senso critico.

 

Abbiamo concluso la nostra visita con un assaggio dei prodotti forniti direttamente dallo stabilimento produttivo. È stata un’occasione ulteriore per stare a contatto con il personale e intuire come ci si rapporta all’interno di un gruppo di lavoro.

 

L’esperienza è stata l’applicazione di casi, nozioni, libri che noi studenti avevamo prima soltanto studiato e mai visto concretamente. Inoltre ha rappresentato la possibilità per poter affacciarsi ad un vero e proprio ambiente di lavoro, spaziando dagli uffici direzionali alle linee di produzione. Si è trattato quasi, metaforicamente parlando, di un assaggio della vita vera che potrebbe sperimentare ognuno di noi ragazzi del corso, una volta terminato il percorso di studi.

 

Ci è stato dato, infine, un prezioso insegnamento: quello di seguire le nostre passioni. È un ottimo consiglio che forse, troppo spesso, oggi si perde di vista; invece è proprio la chiave che ci permette di realizzare ciò a cui aspiriamo. La visita che abbiamo svolto è stata un prezioso incentivo, per continuare ad impegnarci nella speranza di ottenere, un domani, un posto di lavoro appassionante e motivante come quello che abbiamo avuto l’opportunità di vedere.

 

Elena Zini

Studentessa Economia aziendale – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Ele__Zini

 

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Lezioni di Employability/17 – Buoni comportamenti che creano una buona prassi: una Università nuova è possibile

Lezioni di Employability/17 – Buoni comportamenti che creano una buona prassi: una Università nuova è possibile

Alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile. Tra le ragioni, come si legge del rapporto McKinsey Italia, l’ancora troppo sporadico e poco riuscito dialogo tra scuola e lavoro, il mancato incontro tra i fabbisogni delle imprese e le competenze dei giovani in cerca di lavoro.

I soggetti coinvolti – studenti, università, aziende – sono pertanto i cardini intorno ai quali può costruirsi un nuovo paradigma di occupabilità, di cambiamento e di ripresa.

 

Gli studenti, noi, i protagonisti principali del triangolo. Siamo tutti qui, sui banchi delle nostre facoltà, ad ascoltare lezioni convinti di ricevere, in cambio di presenza, le chiavi del nostro futuro. Abbiamo in mente, tutti, solo un obiettivo: superare gli esami, diventare Dottori, diventare qualcuno. Di “essere” grandi, “essere” capaci, “essere” competenti, non sembra interessarci.

Davanti a noi l’università, strutturata per dare insegnamenti e nozioni, maestosa, a cui dare del Lei.

Infine, le aziende, costrette a districarsi tra i cavilli burocratici e insoluti, ad affrontare un ricambio generazionale e tecnologico che non sempre le vede pronte, avvezze a linguaggi e bisogni così distanti dai manuali accademici di economia.

Come aiutare il dialogo tra noi tre, tra ogni singolo studente, la sua università e il lavoro?

La risposta non esiste ma ci sono almeno tre comportamenti, che insieme possono fare una buona pratica.

 

Noi giovani possiamo recuperare dai nostri genitori valori importanti quali l’umiltà, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere e la voglia di fare. Questo significa che ogni lavoro merita rispetto e attenzione. Che ogni lavoro può essere svolto con professionalità e a diversi livelli. Che il successo e la riuscita non è dipesa dal tipo di lavoro ma dal metodo, dalla dedizione e dalla passione con cui si svolge. Che non esistono scuole, lavori, persone di serie A e di serie B. Esistono piuttosto, nelle imprese italiane e in quasi tutte le nostre famiglie, storie personali da cui imparare che crescere è forse il miglior modo per arrivare alla vetta.

 

Le aziende, i nostri interlocutori, cercano ma non trovano figure adeguate alle posizioni vacanti, lamentando disallineamento tra competenze richieste e competenze reperite. Le imprese desiderano conoscere di persona i laureandi per ascoltarli e condividere con loro obiettivi e percorsi, cioè opportunità di lavoro per noi giovani e opportunità di crescita e innovazione per loro. Le aziende potrebbero aprirsi davvero alla scuola, ospitando i giovani, facendo visitare loro le proprie strutture, praticando con loro la lingua delle competenze condivise.

 

L’università, infine, può e deve cambiare, iniziando a collaborare in modo stretto con le aziende, attraverso un “Career Office” che non sia solo un centro di raccolta cv, ma che svolga attività di matching vero e proprio. Questo può avvenire solo se l’università conosce i propri studenti e li affianca nel loro progetto di crescita professionale. I professori in questo senso svolgono un ruolo fondamentale, infatti sono loro che hanno il contatto diretto con i laureandi, diventando così dei punti di riferimento.

 

L’incontro di competenze di cui parliamo è innanzitutto un incontro di persone, di storie e di talenti. Per orientare questo matching ci vuole conoscenza, valore e apprezzamento.

Le aziende avrebbero così l’opportunità di coltivare i propri futuri employees a distanza monitorando la crescita e lo sviluppo accademico di quest’ultimi. Inoltre potrebbe indirizzare l’università in scelte formative differenti in base alle esigenze riscontrate sul mercato.

Per gli studenti i vantaggi sarebbe innumerevoli e forse, finalmente, si potrebbe parlare di ripresa dell’occupazione giovanile.

 

La buona prassi raccontata, per una felice coincidenza di circostanze favorevoli – alcune imprese disponibili al dialogo, un insegnamento come il diritto del lavoro propenso a valorizzare competenze e formazione delle persone – si è pienamente realizzata. #DirLav2013, l’hashtag che abbiamo scelto per affacciarsi al mondo, è per noi la prova che una nuova università è possibile.

 

Marcello Puorro

Studente Economia aziendale

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@MarcelloPuorro

 

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Start up e PhD: l’impresa della ricerca

Start up e PhD: l’impresa della ricerca

La ricerca si fa impresa: segnali positivi sul fronte della valorizzazione del capitale umano qualificato. Alcune disposizioni recenti stanno incentivando l’assunzione di risorse umane ad alta competenze nelle imprese che fanno innovazione, in particolare start up. Gli incentivi fanno parte di un pacchetto previsto dal decreto legge 83/2013 e reso applicativo dal decreto del Ministero dell’economia (DM 13 ottobre 2013) pubblicato il 21 gennaio in Gazzetta Ufficiale.

 

La norma premia i datori di lavoro che assumono dottori di ricerca o laureati magistrali in discipline tecnico-scientifiche che sono impegnati in attività di ricerca e sviluppo. L’assunzione dovrà essere a tempo indeterminato e vale anche nei casi di trasformazione di contratti a tempo determinato per un periodo non superiore a dodici mesi dalla data dell’assunzione. In concreto si tratta del riconoscimento di un incentivo all’assunzione che ha la forma di un credito di imposta che consiste, per un massimo di 12 mesi, nell’abbattimento del 35% del costo aziendale dei neo-assunti.

 

Il problema è che per adesso l’incentivazione resta soltanto sulla carta perché non è ancora operativa la procedura telematica prevista dal decreto. Secondo la norma la procedura sarà gestita mediante piattaforma informatica che sarà il luogo virtuale in cui le imprese potranno procedere alla presentazione delle domande. Si attende dunque un decreto direttoriale che in tempi brevi possa regolare in concreto gli iter burocratici per le imprese. Va rilevato in proposito un particolare favore per le imprese delle zone colpite dal terremoto del 20 e 29 maggio 2012 (Emilia Romagna) che possono accedere provvisoriamente agli incentivi in regime de minimis, dunque semplificato, a meno che non vogliano far valere le proprie prerogative per concorrere alla misura generale dell’incentivo.

 

Ma l’aspetto più rilevante della norma è la promozione delle start up innovative. A loro è data una vera e propria priorità rispetto alle imprese più “longeve”. Il concetto di “start up innovativa” è stato introdotto in Italia con il Decreto “Sviluppo 2.0” (n. 179 del 2012) che aveva l’obiettivo di favorire l’occupabilità del capitale umano qualificato in parallelo alla diffusione di nuova imprenditorialità e di sviluppo tecnologico. Nella pratica le start up innovative sono imprese costituite da non oltre 48 mesi che hanno come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

 

La vocazione tecnologica delle start up innovative, lungi dall’essere dichiarata soltanto formalmente, va misurata sulle spese in ricerca. Esse devono ammontare almeno al 20% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione. Dovranno inoltre impiegare come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, anche in apprendistato, almeno un terzo della forza lavoro composta da dottori di ricerca e, importante, anche dottorandi di ricerca ancora in corso.

Rispetto alle imprese comuni le start up innovative, oltre a procedure di assunzione semplificate, hanno la possibilità di assumere con un particolare contratto a termine. Come già previsto dal d. l. n. 179/2012 nel periodo massimo di 4 anni dalla nascita dell’impresa sarà infatti possibile stipulare contratti a termine acausali (di durata minima di 6 mesi, massima 36 mesi). Si potrà usufruire di questo beneficio a condizione che il contratto sia stipulato per lo svolgimento di attività legate all’oggetto sociale della start up innovativa. È previsto per di più un riconoscimento della parte variabile del trattamento retributivo degli assunti che sia collegato all’efficienza o alla redditività dell’impresa e valorizzi la produttività del lavoratore.

 

Le deroghe alla normativa giuslavoristica, gli incentivi con credito di imposta e la previsione di una quota obbligatoria di PhD avviano in Italia una fase nuova per la cultura industriale. Una fase di “cultura dell’innovazione” che promuove la ricerca anche nelle imprese neo-nate e che guarda alle best practice internazionali, in particolare quelle di Francia, Israele e Stati Uniti. Ciascuno di questi paesi è un modello per qualcosa: la Francia per la modernizzazione del diritto societario grazie alle SAS (société par actions simplifiée); Israele per la capacità di attrarre investimenti stranieri con leggi come la Law for the Encouragement of Industrial R&D; gli Stati Uniti per il forte approccio all’imprenditorialità attiva insegnato all’università: si è calcolato ad esempio che solo gli ex alunni di Stanford hanno creato con le loro imprese circa 5,4 milioni di posti di lavoro.

 

L’Italia è ancora indietro, ma le norme in commento danno comunque una prima risposta, per quanto limitata, al fermento che proviene da giovani e università orientate all’impresa. Ad oggi le start up innovative registrate nell’apposito registro della Camera di Commercio sono 1.394, Esse sono uno sbocco lavorativo significativo per i PhD e i dottorandi che si avviano alla carriera da ricercatore industriale e non a quella accademica. Ma per adesso si tratta ancora di un fenomeno limitato sia per l’elevato tasso di mortalità delle start up (quasi il 90%), sia perché i settori produttivi sono ancora troppo legati al digitale e sono rarissime (meno del 2%) le start up manifatturiere.

 

L’impressione diffusa è che nel nostro Paese manchi un ambiente che permetta il passaggio della start up alla fase adulta. Come per i bambini, che non possono restare tutta la vita nella culla, così le start up hanno bisogno di essere accompagnate in un progressivo cammino verso l’autofunzionamento e l’indipendenza. Manca in particolare un’adeguata formazione all’imprenditorialità e una legislazione più semplice. Siamo ancora distanti da realtà come Tel Aviv e come la celebre Silicon Valley, caratterizzate dalla presenza di tanti finanziamenti e di poche leggi (ma precise). Realtà pro-attive in cui ci sono università che invogliano finanche i PhD a far impresa.

 

Eppure anche in Italia qualcosa si muove, sia da parte delle università, sia da parte delle imprese “senior”. Atenei come il Politecnico di Torino, Bari, Padova e tanti altri hanno già costituito i loro incubatori d’impresa: iniziative apprezzabili, ma bisognerà valutare nel medio-lungo periodo se riusciranno a creare condizioni stabili per imprese efficienti e produttive. L’onda delle start up permetterebbe inoltre di sviluppare il grande potenziale dei dottorati industriali, finora al palo a causa di una normativa troppo rigida, affinché diventino il canale formativo terziario più orientato alla ricerca industriale e all’imprenditorialità. Aumenta poi la responsabilità delle imprese “senior” nell’accompagnamento delle start up: un esempio è il progetto Adottup, dove alcune PMI adulte si candidano ad “adottare”, diventando loro stesse incubatori, giovani idee d’impresa. Una relazione tra “generazioni” che si è mostrata finora efficace per ridurre la fisiologica mortalità delle start up.

 

Alfonso Balsamo

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@Alfonso_Balsamo

 

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